venerdì 29 gennaio 2010

Flop!!


l colpo di scena è arrivato ieri sera, alle ore 19.17, quando nelle redazioni è giunto il comunicato stampa Fir che annunciata lo stop alle trattative per far entrare due squadre italiane in Celtic League. Di fronte alle sempre più esose richieste del Board, infatti, il presidente Dondi ha deciso di dare un taglio a tutta la faccenda. “A queste condizioni non ci stiamo” il sunto del discorso. Che potrebbe essere anche condivisibile, se non arrivasse dopo un anno in cui il movimento italiano non ha fatto nulla per dimostrarsi degno di entrare in Celtic League. E dopo un anno che ha, ormai ufficialmente, certificato il fallimento di questa dirigenza. Che ora deve trarre le dovute conseguenze.

Avete presente quegli allenatori che, quando ormai l'esonero è più di una possibilità, danno le dimissioni? Cercano, con un gesto “nobile” di salvare le apparenze, di salvare la faccia di fronte a un fallimento. Ma, dimissioni o esonero, il fallimento rimane. Ecco, la scelta della Fir è quella di dare le dimissioni dalla Celtic League prima che il Board ci esoneri. Salve le apparenze, il fallimento di 13 mesi di gestione dilettantistica, clientelare, provinciale e oscura rimangono.

Se è vero, come afferma Giancarlo Dondi, che il Board ha cambiato più volte le carte in tavola (l'ultima richiesta sarebbe una fidejussione di 3 milioni a garanzia dell'ingresso italico), viene da chiedersi che garanzie e che accordi ha stipulato lo stesso presidente con i celti mesi fa. Se c'erano dei punti non specificati, andavano chiariti subito, non si doveva aspettare il 2010 per mettere le carte in tavola. Se alcuni punti erano stati accennati, ma non ufficializzati, bisognava insistere e capire se erano richieste vincolanti o meno. Ma, soprattutto, bisogna chiedersi perché i celti hanno cambiato le carte in tavola.

Ripercorriamo gli ultimi 12 mesi d'agonia ovale italica. A dicembre 2008 la Fir chiede ufficialmente alla Celtic League di far entrare due squadre nel proprio campionato. Il motivo è semplice. Da noi il campionato non è di alto livello, la Fir non è stata in grado di alzare il livello tecnico del rugby italiano da sola e necessita di esportare i propri giocatori per farli crescere. Cioé, la Fir fin da subito accetta il proprio fallimento nella gestione delle sue risorse umane. E se guardate e leggete il progetto Emergenti stilato da Orlandi nel 2007 (ne parlerò prossimamente) capirete perché questa Fir non sarà mai in grado di far crescere il movimento autonomamente.

Poi arriva l'ok celtico, a determinate condizioni. Tra accordi, fusioni, rinuncie, proposte velleitarie e orticelli vari si arriva alla prima scelta: Roma e Aironi. Apriti cielo, il Veneto è escluso, si riscopre unito e parte la guerra contro Roma. E si scopre che Pretoriani e Aironi sono stati scelti solo per cause politiche, senza reali garanzie alle spalle. Quindi, dopo mesi di polemiche, proteste, minacce e quant'altro, ecco che si rivota. Questa volta, almeno così dicono, dopo aver analizzato attentamente le proposte da un punto di vista economico e tecnico. Bocciata Roma, rientra Treviso. Nuova bagarre e i Pretoriani che minacciano di adire le vie legali. Mentre viene messa in dubbio la reale consistenza della proposta degli Aironi.

Nel frattempo, ricordiamo, che l'Italia ha perso tutti i match del Sei Nazioni 2009, i test match di giugno e a novembre si è salvata dal cappotto solo con la vittoria sulle Samoa. E i club? Tranne l'exploit di Treviso con Perpignan, e le buone prove dei veneti negli altri incontri, una debacle totale in campo europeo. E con queste prospettive i celti dovevano accoglierci a braccia aperte?

A livello sportivo non siamo alla loro altezza. Da un punto di vista organizzativo abbiamo dimostrato un pressapochismo a dir poco imbarazzante. Le scelte delle franchigie sono ancora sotto la spada di Damocle delle azioni legali e, comunque, sono arrivate senza un processo limpido e chiaro, dove interessi privati, clientelismi e accordi sottobanco l'hanno fatta da padrona. Ora Dondi chiama il bluff. Dice che i celti sparano troppo alto, si tira indietro e spera che sia il Board a ridimensionare le richieste. Un tentativo estremo di salvare il salvabile, ma ormai c'è ben poco da salvare. Perché?


Perché in questi ultimi 12 mesi, mentre ci si districava nella matassa celtica, si è iniziato a scavare una tomba profondissima, dove seppellire il rugby italiano. Riforma del campionato fatta in funzione Celtic League e che spinge al semidilettantismo; candidatura mondiale bocciata sonoramente; progetto emergenti senza capo né coda; investimenti sui vivai e sul territorio lasciati andare alla deriva; società di Super 10, Serie A, B e C senza neanche più lacrime con cui piangere; nessuna azione di marketing e di sviluppo del prodotto rugby al di fuori della vetrina San Siro; incapacità di vendere la palla ovale ai mezzi di comunicazione. E ora?

Ora sarebbe il momento di lasciare. Di ammettere la propria inadeguatezza e permettere un ricambio generazionale al movimento. Ma le ultime parole di Dondi non fanno sperare tutto ciò: "...sono sicuro che, attraverso percorsi alternativi, riusciremo comunque a raggiungere i traguardi che con grande serietà e perseveranza ci siamo prefissati. Nei prossimi mesi lavoreremo con ancor maggiore intensità ed impegno per far sì che le competizioni nazionali possano essere sempre più formative per l’alto livello ed appetibili per gli sponsor ed il grande pubblico". Come diceva Totò... ma mi faccia il piacere!


(RUGBY 1823 blog)

1 commento:

Romoletto ha detto...

Ecco, ci mancava la solita sceneggiata napoletana per darci la zappa addosso
Che Vergogna||||||||||

"....la piu' bella vittoria l'avremo ottenuta quando le mamme italiane spingeranno i loro figli a giocare al rugby se vorranno che crescano bene, abbiano dei valori, conoscano il rispetto, la disciplina e la capacita' di soffrire. Questo e' uno sport che allena alla vita."

John Kirwan ex allenatore nazionale italiana e giocatore degli All Blacks