sabato 27 agosto 2011

Genitori e Allenatori,opinioni di un grande coach



Sergio Scariolo durante un clinic

Girovagando per la rete capita di imbattersi in letture interessanti, come mi è successo finendo sul blog di uno dei più bravi coach italiani di basket, Sergio Scariolo, che dopo avere conquistato prestigiosi titoli dappertutto, a cominciare dallo scudetto vinto da capo allenatore a soli 29 anni a Pesaro, per poi proseguire ad esempio col Real Madrid, oggi è l’allenatore della Nazionale di Spagna campione d’Europa (Polonia 2009).
Da conterraneo, Sergio Scariolo lo ricordo nei primissimi anni ’80 quando da ragazzo seguivo l’allora Basket Cidneo e poi Simmenthal, a Brescia, dove Sergio era – pur giovanissimo, è del 1961 – assistant coach di Riccardo Sales, uno dei grandi allenatori dell’epoca.
Casualmente mi imbatto nell’attuale sito di Scariolo (sergioscariolo.com) e in un suo altro blog in lingua spagnola, apparentemente non più aggiornato, nel quale trovo però un articolo interessante, “Relaciones padres-entrenador y viceversa” (Relazione tra padre e allenatore e viceversa), ricco di spunti che trovo utile condividere.

Club e allenatori: coerenza.
Sergio Scariolo prende spunto da una affermazione del direttore sportivo della Federazione di basket spagnola:
“Lo prioritario en el Mini no es ganar, sino estar con los amigos y aprender”.
Non vincere, ma stare con gli amici e imparare, questo è lo scopo principale dello sport dei bambini. Scariolo è allenatore e padre, vede con chiarezza quindi le esigenze dei bambini che praticano sport, osservandole da due differenti punti di vista.

“Mi rendo conto della importanza dell’educazione attraverso lo sport e della funzione tanto essenziale che svolgono gli allenatori. È a questi allenatori che dobbiamo richiedere uno sforzo di coerenza tra il messaggio educativo che trasmettono e le loro azioni negli allenamenti e nelle partite”.
E a questo proposito sottolinea quindi quanto sia importante che il club scelga e formi adeguatamente gli allenatori che si occupano dei mini atleti nell’età evolutiva.
Infatti “è fondamentale che i club mantengano una coerenza in quello che domandano ai propri allenatori e come poi giudicano il loro lavoro.
Considero che l’educazione alla tattica e alla competizione debba essere progressiva e logica nell’evoluzione del giocatore per le categorie giovanili. Di conseguenza, progressiva deve essere anche l’esigenza di conseguire risultati”.
Accade questo nei nostri club?
Scariolo – osservata la realtà del mini basket – dà alcune indicazioni.
"Può essere che in certe occasioni  i club promuovano quegli allenatori che hanno raggiunto titoli con le squadre giovanili, però raramente si è visto un istruttore trasformarsi in un grande allenatore ‘sulla pelle’ dei propri giocatori”.
Indubbiamente la vittoria non è un male,  ma – nota l’allenatore della Nazionale Spagnola – lo diviene se è ottenuta speculando, cioè con comportamenti tattici eccessivi (un esempio nel mini rugby: palla al “ciccione” e sfondamento, palla a Speedy Gonzales – ce n’è quasi sempre uno in squadra – e via con le mete in solitaria per vincere la partita) che possono sì aiutare a vincere una gara ma non porteranno quell’istruttore a consacrarsi come allenatore di alto livello.
“Agli allenatori che lavorano con le squadre di formazione faccio una esortazione ad essere equilibrati, prediligendo gli strumenti che aiutano a competere senza deviarvi dalla linea di coerenza e dall’obiettivo di una progressione adeguata dei giovani talenti”.
Nelle mini rugby dei più piccoli si vedono educatori nel rettangolo di gioco, messi dietro al nugolo, "esortare" con urla e spinte i bambini, a poca distanza da loro (un bell’ostacolo, fisico e psicologico, per gli avversari: dove credete che andrà a cercare spazio il bambino che attacca con l’ovale in mano?). Corrisponde al ruolo questo atteggiamento o una maggiore pacatezza e distanza non sarebbero più coerenti?

Il papà secondo l’allenatore
Un allenatore come vede i genitori? Fuori dalla espressione che auspica per ogni allenatore “una squadra di orfani”, ecco una lettura più impegnativa ma più equilibrata.
“Non mi sembra che il ruolo paterno e quello materno si circoscrivano a quello di meri spettatori. I figli chiedono ai papà di partecipare con discrezione, lontano dallo ‘spettacolo’ che alcuni offrono dalle gradinate. I papà (e le mamme – ndr) devono interessarsi del proprio piccolo sportivo, animare la squadra e celebrare i piccoli risultati”.
Come quindi?
“Se io fossi l’allenatore di quella squadra giovanile, domanderei ai papà di collaborare con me per aiutarmi a creare un buon atleta in uno sport di squadra. L’appoggio dei genitori è fondamentale ed è complementare rispetto al lavoro che impegna l’allenatore, ma questo deve essere insegnato con l’esempio.
Non può esserci confusione. I messaggi dei genitori e dell’allenatore devono coincidere e la via educativa può creare due canali che confluiscono in una stessa linea. Il clima positivo deve circondare il bambino”.
Scariolo ha iniziato da giovanissimo proprio col settore giovanile dell’allora Pintinox Brescia, alla fine degli anni ’70. Successivamente è stato anche responsabile del settore del Real Madrid, club che creò allora un Dipartimento di Psicologia che focalizzava il lavoro su ragazzi e famiglie, attraverso corsi.
“Invito tutti i club a lavorare in questa direzione come raccomando agli allenatori di programmare una serie di riunioni con i familiari dei propri bambini nelle quali chiarire i cardini del loro lavoro e trovare il coordinamento dei messaggi che i ragazzi ricevono da parte del loro allenatore con quelli che ricevono dalla famiglia”.
Il vostro club promuove questi incontri? Quante volte l’anno? Con quali figure di sostegno?

L’allenatore secondo il papà

Sergio Scariolo ha allenato e allena fior di campioni. Ma è anche un padre i cui figli praticano occasionalmente quattro o cinque sport; quando si è trattato di scegliere, il ruolo di padre gli ha suggerito di non forzare la scelta di una disciplina sportiva, animandoli a proseguire in tutto ciò che li attrae senza impedire loro di manifestare le proprie preferenze.
Come padre, naturalmente, si interessa delle vicende dei club in cui praticano sport i suoi figli. Il maschio gioca a basket.
“Essere padre mi impone anche una funzione di controllo sul funzionamento del gruppo sportivo a cui partecipa mio figlio. Credo che siamo legittimati a esigere serietà , puntualità, igiene, educazione… in sostanza il rispetto dei diversi valori inerenti la pratica sportiva e che fanno la formazione integrale di una persona.
Mantengo il ruolo di padre con quello di allenatore attivo. Conosco il basket, mi interessa controllare - senza perdere obiettività - che mio figlio sia uno del gruppo e che sia trattato in modo uguale rispetto al resto dei compagni. Se avessi la sensazione che non è così, cercherei il dialogo diretto con l’allenatore, evitando i commenti con il bambino prima di aver compreso cosa sta succedendo”.
Un altro aspetto che Scariolo ritiene utile verificare è se durante gli allenamenti si lavora in una direzione coerente con quella che è considerata la corretta progressione e evoluzione del giocatore (e non “utilizzo” del giocatore).
Naturalmente il coach della Nazionale spagnola ha tutti i mezzi, le consapevolezze e l’autorevolezza per apportare commenti e suggerimenti utili.
Io ritengo che i genitori, anche competenti, che si addentrano in commenti e suggerimenti tecnici con regolarità rischiano di interferire negativamente sul lavoro dell’educatore. Chi ha giocato a rugby, nel nostro caso, anche a buon livello, non è detto che sappia dare apporti coerenti con la fase di crescita in cui si trova il figlio: a quale età insegnare a placcare, a passare la palla…?
Inoltre, avere praticato uno sport non necessariamente ci rende capaci di insegnarlo.

Ad ogni modo, le relazioni allenatore-genitore e genitore-allenatore – conclude Scariolo - non si estinguono quando lo sportivo porta a termine la tappa di formazione.
“Sorprenderebbe molti sapere che questa influenza è molto importante anche quando il ragazzo diventa un giocatore della prima squadra”.
In un successivo post Sergio Scariolo approfondisce alcuni aspetti relativi all’ambiente che circonda lo sportivo. Per la dimensione che qui ci interessa, riporto le considerazioni relative alla famiglia (gli altri ambiti sono i supporter, i procuratori, i media)

“La famiglia e i parenti formano il primo circolo - il più vicino allo sportivo, dove l’affetto è l’aspetto dominante – e obiettivamente la sua influenza può essere positiva o negativa, dipendendo dal sentimento comune e dalla educazione sportiva di chi sta attorno allo sportivo”.
Questo vale certamente per i bambini che praticano sport. Mentre non si discute la passione per i propri figli di ciascun genitore, non si può dare per scontato che l’interazione con il figlio che pratica sport sia sempre positiva, anche per motivi culturali. Più volte abbiamo parlato dei “genitori ultrà”, difficilmente col loro comportamento aiuteranno il figlio ad avere un atteggiamento rispettoso nell’ambiente in cui giocano.

“Si può creare un effetto positivo quando i familiari appoggiano e aiutano il figlio a tenere i piedi a terra.  Negativo quando alimentano le frustrazioni nel gruppo, confondendo ambizione e insoddisfazione”.
Mantenere una comunicazione aperta con i familiari è molto utile e produttivo – sotiene Scariolo – aiuta a definire una linea di collaborazione per migliorare atteggiamenti, mentalità del ragazzo e correggere il tiro.
“Appreso di un comportamento scorretto a bordo campo da parte di un familiare, parlare con questa persona è servito a cambiare l’abitudine e a riorientarla a beneficio del ragazzo e del gruppo. A volte invece le parole possono imbattersi in un muro insormontabile”.
mf  

FONTE:http://www.minirugby.it/minirugby/content/view/3733/78/

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"....la piu' bella vittoria l'avremo ottenuta quando le mamme italiane spingeranno i loro figli a giocare al rugby se vorranno che crescano bene, abbiano dei valori, conoscano il rispetto, la disciplina e la capacita' di soffrire. Questo e' uno sport che allena alla vita."

John Kirwan ex allenatore nazionale italiana e giocatore degli All Blacks