martedì 22 novembre 2011

"IO IBRA", IO NO,Grazie!

  
Splendido post di minirugby.it.
Cosa rappresenta lo sport e il suo valore educativo di cui i campioni sono gli ambasciatori, e cosa invece è la cultura del "figo ribelle alla grande fratello"...


Usciamo dai confini del rugby e facciamo un salto in quelli meno angusti del calcio.
Esce in questi giorni la biografia di Slatan Ibrahimovic, l’attaccante svedese di origini bosniaco-croate di Malmö, Ajax, Juve, Inter, Barcellona e ora Milan.
I media stanno enfatizzando questo libro, la Gazzetta ne parla diffusamente. Ma proprio la Gazzetta dà spazio ad una “replica” firmata da una campionessa (vera) che “a costo di passare per moralista noiosa” spiega che la chiave di lettura che in questi giorni si è data al libro è errata.
Questa campionessa è Isefa Idem, 47 anni, pluri medagliata, regina di uno sport di sacrifico come la canoa, e capace di qualificarsi alle olimpiadi di Londra, sua ottava partecipazione!
E’ l’enfasi alle bravate che Ibra racconta di avere fatto ("facevo anche 325 chilometri all'ora", grandi bevute… ) che non piace.
Sono le bravate dei ganzi, che poi finiscono in tragedia per qualcuno. Oggi, dice, c’è piuttosto bisogno di messaggi e modelli positivi e costruttivi.
Ibra è diventato “grande” tra diverse difficoltà, le ha superate, questo era il messaggio da evidenziare.
“Credo che vada fatta chiarezza. Condannando i ragazzi spacconi e non prendendo le distanze dalle rivelazioni di Ibrahimovic forniamo un alibi a comportamenti scorretti e troppe volte pericolosi.
Se poi ridicolizziamo persino gli esempi positivi (si riferisce alle critiche a Guardiola, esempio di Fair Play) alimentiamo un mondo dai valori capovolti. E visti i tempi che corrono non è proprio ciò che ci vuole”.
Non mi interessa parlare del libro in sé (che non ho letto) ma di quanto pesino nell’educazione dei ragazzi i modelli che gli adulti propongono.
Campioni, modelli.
Se i ragazzi imparano soprattutto dagli esempi che hanno davanti a sé, allora il modello di vita che si presenta loro è concretamente la somma dei comportamenti degli adulti di riferimento. Questi comportamenti possono essere smorzati o amplificati a seconda di chi li propone e della enfasi con la quale vengono proposti.
Tv, carta stampata, web, i media in generale, sono una finestra su modelli e stili di vita soprattutto di chi ha rilievo e fama. Il campione, l’uomo di successo per un adolescente divengono facilmente miti:  propongono modelli e stili di vita che influenzano tanto più i ragazzi quanto più quei modelli sono accettati nel contesto in cui i ragazzi vivono. Se nella famiglia, nel gruppo di riferimento, i valori sono accantonati, tanto maggiore sarà l’influenza che modelli di comportamento negativi o dubbi avranno sui ragazzi.
In sostanza ancora una volta è onere degli adulti fare una scelta e proporre modelli educativi così come respingere quelli che si ritengono diseducativi, o – meglio – stimolare la riflessione critica affinché i ragazzi possano compiere scelte e non subire influenze e basta.
Come non è sano proporre solo per vendere (questo è il lavoro del commerciante…), non è sano censurare, è sano criticare, aprire il confronto; questo è il compito dell’educatore: il genitore, l’insegnante, l’adulto che sta con i ragazzi, ma anche quello che si occupa d’altro ma è sotto i riflettori, visibile, e di conseguenza “esemplare”.
Slatan Ibrahimovic non ha la colpa di avere raccontato la sua storia, anzi. Essendo una storia difficile ne ha il merito: una infanzia piena di situazioni dolorose, come l’alcolismo del padre, l’arresto della madre, la tossicodipendenza della sorella. L’infanzia di bambino che si è salvato rincorrendo un pallone.
Ibra ha la libertà di raccontarla così come l’ha vissuta, ma ha anche la responsabilità di evidenziare gli insegnamenti che ha tratto – se ne ha tratti - perché, come star internazionale dello sport, è un personaggio pubblico di grande fama, idolo di grande appeal sugli adolescenti. Non può sottrarsi alle responsabilità che l’essere un “modello” gli produce.
Chi leggerà il libro potrà valutare.
Gli adulti che ne parlano hanno la responsabilità di mettere in evidenza che correre in auto e ubriacarsi sono comportamenti pericolosi, e che il mito dell’eroe maledetto è affascinante soprattutto per chi deve vendere libri e dvd, un po’ meno per chi ci si rovina la vita con quei comportamenti che, lungi dall’essere trasgressivi e creativi, sono certamente distruttivi e spesso sintomo di grande vuoto e disagio esistenziale. Inoltre, per un Ibrahimovic che può raccontarli dall’alto della sua fama (che splendida occasione hanno costoro!), ci sono migliaia di coetanei che in quei comportamenti si sono persi. Avere doti importanti e rare come quelle di Slatan, non significa poterne disporre fino allo spreco, come avviene per altri grandissimi talenti “di rottura” per i quali ho grande simpatia, penso ad Antonio Cassano e Mario Balotelli, sportivi che tuttavia quelle doti innate hanno talvolta dimostrato di “sciuparle” alla faccia di chi non le ha o di chi per diventare la metà di loro, ha dovuto lavorare il doppio attingendo ad uno spirito di sacrificio notevole.
I campioni non sono i goleador ed i recordman, i campioni sono uomini e donne che hanno un sogno e capacità di impegnarsi traendo il massimo da sé.
“I campioni – disse Muhammad Ali - non si fanno nelle palestre. I campioni si fanno con qualcosa che hanno nel loro profondo: un desiderio, un sogno, una visione”.
Ma non solo. Una volta ottenuti grandi risultati sportivi, l’atleta diviene esempio, punto di riferimento, ed è un vero campione se sa essere eccellente in ogni suo comportamento. Compreso quello di raccontare la sua storia sapendo che da quella altri trarranno un insegnamento. Questi altri sono soprattutto i ragazzi.

Arriva Natale.
Questi libri, specie prima delle feste natalizie, se ben promozionati, si vendono a kili. Niente di male, ci mancherebbe. Ma ha ragione Isefa, questa enfasi è esagerata, sospetta, dannosa.
“Credo che vada fatta chiarezza. Condannando i ragazzi spacconi e non prendendo le distanze dalle rivelazioni di Ibrahimovic forniamo un alibi a comportamenti scorretti e troppe volte pericolosi. Se poi ridicolizziamo persino gli esempi positivi alimentiamo un mondo dai valori capovolti”.
Insomma, che i ragazzi leggendo “Io, Ibra” possano dire anche “io no”. Persone come Ibra, proprio per il loro vissuto anche doloroso e contraddittorio, possono davvero riportare messaggi positivi incisivi. E il libro ne ha perché nelle anticipazioni ci sono passaggi anche educativi. Parlando dei gruppetti divisi nello spogliatoio dell’Inter: “Li odiai fin dal primo giorno, e non dipendeva soltanto dal fatto che io venivo da Rosengård, dove ci si mischiava senza problemi: turchi, somali, jugoslavi, arabi. Era anche perché l’avevo visto già molto chiaramente, sia alla Juventus sia all’Ajax: tutte le squadre rendono molto meglio quando fra i giocatori c’è coesione. All’Inter era l’opposto. Là in un angolo stavano seduti i brasiliani; gli argentini stavano in un altro e tutti gli altri in un terzo. Era una cazzata. Così considerai come mio primo grande test da leader porre fine a quella situazione”.

Chissà se Ibra le distanze da quegli altri comportamenti le ha prese, o si è dimenticato di dirlo, non lo so, ripeto non ho letto il libro.
Non è questo il punto: è l’enfasi di certe anticipazioni, e non piace nemmeno a me.
Non so perché ma se qualcuno mi chiede a bruciapelo il nome di un campione a me ne viene in mente un altro: Gaetano Scirea. Chiedete se è - davvero e ancora - un modello per qualcuno. Temo di no.

 FONTE:http://www.minirugby.it/mini-rugby-grande-sport/3958-io-ibra-io-no

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"....la piu' bella vittoria l'avremo ottenuta quando le mamme italiane spingeranno i loro figli a giocare al rugby se vorranno che crescano bene, abbiano dei valori, conoscano il rispetto, la disciplina e la capacita' di soffrire. Questo e' uno sport che allena alla vita."

John Kirwan ex allenatore nazionale italiana e giocatore degli All Blacks