mercoledì 12 ottobre 2011

Sport di squadra, più di un semplice gioco

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Un ambiente di squadra coeso dove l’orientamento è a valutare le prestazioni piuttosto che a compararle con quelle di altri; dove si punta al coinvolgimento in allenamenti divertenti e sfidanti. Sono le principali condizioni di cui abbisognano i bambini per godere di una positiva esperienza evolutiva praticando sport.
“Lo sport è molto di più che la semplice idea di vincere o perdere e sviluppare gli skills fisici. Nelle giuste condizioni, lo sport giovanile può aiutare i bambini a sviluppare competenze personali e sociali trasferibili, qualità ‘civiche’ che manterranno nel corso della vita”.
Sono parole di Jean Côté, responsabile della School of Kinesiology and Health Studies, esperto in coaching dei giovani. Con alcuni colleghi ha svolto una ricerca (finanziata dal Social Sciences and Humanities Research Council of Canada e condotta in collaborazione con Dany MacDonald, del Dipartmentimento della Famiglia e Scienze Nutrizionali della University of Prince Edward Island.) sottoponendo, tra l’altro, a 510 atleti tra i 9 e i 19 anni alcuni questionari per indagare il clima motivazionale, il divertimento e l’impatto sullo sviluppo che la pratica sportiva ha sui giovani.
Lo sport è identificato come un contesto nel quale si possono fare esperienze negative e positive. Per i ragazzi dai 9 ai 19 anni, le esperienze positive vissute sono sempre associate ad allenatori che sono stati capaci di creare un ambiente inclusivo e squadre coese, dove i ragazzi sono stati valutati equamente e coinvolti anche in attività sociali estranee allo sport.
Questa constatazione ribadisce la centralità della figura dell’allenatore, che nemmeno quando lo voglia pervicacemente, può estraniarsi dal suo ruolo di educatore. Il fatto che siano considerate utili anche le attività estranee al fatto meramente sportivo lascia intendere che i ragazzi hanno esigenze di confronto con la realtà più ampie e beneficiano dei momenti di aggregazione con finalizzazioni diverse: una gita, la beneficienza… esperienze che favoriscono il confronto, la crescita degli skill sociali e “fanno squadra”.
Atleti che competono in sport dove si raggiunge il picco già in giovanissima età, ad esempio la ginnastica e il nuoto, tendono ad avere coach con più alte e strutturate aspettative, un più alto tasso di infortuni ed abbandoni. Inoltre, questi sono sport che tendenzialmente da adulti non vengono continuati in forma puramente ricreativa.
Altri sport, come il calcio, il baseball, l’hockey, aggiungiamo anche il rugby naturalmente, non richiedono agli atleti una precoce specializzazione – osservano gli autori dello studio -, il picco viene raggiunto in età adulta.
“Altre ricerche da noi condotte indicano che i ragazzi non hanno bisogno di molta pressione prematura per diventare bravi. Se crei un ambiente d’allenamento in cui i ragazzi possono essere felici e appassionati, continueranno a farsi coinvolgere e a sviluppare i propri skills. Se bruci i ragazzi presto, potresti ritrovarti con un ristretto gruppo di ragazzi tecnicamente dotati ma corri il rischio di perdere talenti per strada”.
Aggiungiamo, rispetto alle parole di Jean Côté, che selezionare i ragazzi e lasciare quelli meno dotati può essere una strategia, non stupiamoci, di quei coach che non sentono lo sport come una missione educativa, ma che sono interessati prevalentemente agli aspetti tecnici e competitivi, di norma per un compiacimento personale o per un input dell’ambiente in cui operano.
I nostri figli, viceversa, hanno bisogno di qualcosa di più dal loro sport.

FONTE:http://www.minirugby.it/mini-rugby-grande-sport/3863-sport-di-squadra-piu-di-un-semplice-gioco

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"....la piu' bella vittoria l'avremo ottenuta quando le mamme italiane spingeranno i loro figli a giocare al rugby se vorranno che crescano bene, abbiano dei valori, conoscano il rispetto, la disciplina e la capacita' di soffrire. Questo e' uno sport che allena alla vita."

John Kirwan ex allenatore nazionale italiana e giocatore degli All Blacks