sabato 28 gennaio 2012

Dove sono i bambini. Sport o gioco libero? 2^parte

Fanciullezza uguale gioco?
Una grande differenza nello status dei bambini di ieri rispetto a quelli di oggi sta nella possibilità che questi ultimi hanno di accedere a situazioni di gioco organizzato dagli adulti.
La pratica sportiva inquadrata nel contesto di un club ne è l’esempio: non conosco bambini in età evolutiva che non siano iscritti ad una associazione sportiva. Già dai 5 anni, nel mini rugby, i bambini possono prendere parte alla attività sportiva inquadrati in un team. Quando avevo la loro età non ricordo che fosse possibile in alcun sport.
Questo coinvolgimento dovrebbe essere un bene: lo sport dei bambini è un gioco e il gioco ha una funzione educativa. Potrebbe significare che oggi la disponibilità e l’attenzione dei genitori verso le esigenze di crescita dei propri figli sono cresciute.
Eppure, l’impressione è che il gioco sia nel tempo quasi scomparso dalla giornata dei bambini o che abbia mutato considerevolmente le proprie modalità.
 “Quando finisce il gioco inizia il lavoro”. E’ così, mentre l’età adulta è segnata dal lavoro, l’infanzia è (dovrebbe essere) segnata dal gioco. Il gioco è il modus vivendi naturale del bambino: non è un semplice momento di ricreazione, di pausa e riposo dopo una attività. E’ esso stesso un’attività, divertente, che contribuisce alla costruzione della soggettività. Il bambino gioca perché giocando prova benessere. E col gioco il bambino esplora la realtà, la conosce, la comprende, la governa (oltretutto osservandolo mentre è impegnato nel gioco libero, probabilmente riusciamo a cogliere più pienamente la natura del bambino).
Il gioco tocca tutte le esigenze evolutive del bambino, quelle psicofisiche come quelle emotive, espressive, sociali, cognitive.
Con il gioco i bambini sviluppano via via le proprie capacità motorie; col gioco i bambini ci mostrano la propria interiorità; col gioco i bambini esprimono anche la propria creatività, quella forza che dà loro l’iniziativa, che li porta a partecipare attivamente. Non è cosa da poco: si tratta della capacità costruttiva, la spinta a modificare quanto hanno intorno imparando a concentrarsi, a impegnarsi, a finalizzare e concludere, competenze necessarie, indispensabili nella vita, e base per la costruzione della autostima.
E quando giocano assieme, calandosi ciascuno nella propria parte, entrano in relazione, imparano a capire compiti, regole, ruoli… la dimensione relazionale si sviluppa in maniera importante col gioco che ha, quindi, una funzione sociale.
Il bambino gioca spontaneamente e liberamente sin dalle prime fasi della sua vita. Il gioco continua in tutta l’età evolutiva trasformandosi.
I bambini che approcciano il mini rugby nelle categorie Under 6 e Under 8 hanno un’età nella quale la maturazione fisiologica e psichica può consentire loro di partecipare ad attività ludiche regolate. Infatti a questa età in genere i bambini riescono a seguire, capire e fare propri i compiti assegnati, le regole, e a partecipare attivamente a quanto proposto dagli adulti o dai compagni di gioco. Allora l’attività sportiva può essere davvero preziosa, in quanto ludica, perché può aiutare i bambini a sperimentare ed apprendere la collaborazione,  mettendosi nei panni dell’altro, sviluppando la capacità di attendere e di governare la frustrazione, proprio per superare il naturale egocentrismo e farlo evolvere in capacità sociali via via più strutturate.
Il gioco senso-motorio implica attività fisica che produce la scoperta della propria fisicità, limiti compresi. Se è un gioco di gruppo (il mini rugby lo è) si sviluppano la relazione, il senso di appartenenza sociale, il confronto con altri gruppi che si ha con la competizione. Perché tutto funzioni servono regole.
 FONTE:http://www.minirugby.it/mini-rugby-grande-sport/3991-dove-sono-i-bambini-sport-o-gioco-libero

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"....la piu' bella vittoria l'avremo ottenuta quando le mamme italiane spingeranno i loro figli a giocare al rugby se vorranno che crescano bene, abbiano dei valori, conoscano il rispetto, la disciplina e la capacita' di soffrire. Questo e' uno sport che allena alla vita."

John Kirwan ex allenatore nazionale italiana e giocatore degli All Blacks