mercoledì 8 febbraio 2012

Rugby, gioco da contadini e campanili

Lo Stade de France è una città monumentale, gelida oggi, fredda comunque. Ci sono arene in cui i suoni diventano fanfare, le note si allargano a orchestre, le voci sfociano in ruggiti, e i giocatori hanno l’impressione di correre e rincorrersi fra muri di gente, di facce, di occhi appesi a loro. Invece qui, sarà per l’aria che tira, ma o è il campo che tiene le distanze dagli spalti, o sono gli spalti che si staccano dal campo.
Con quella magia tipica del rugby, a un quarto d’ora dall’inizio lo stadio è mezzo vuoto, al pronti-via è tutto pieno. C’è solo un momento in cui quella distanza fra campo e spalti, fra giocatori e spettatori, fra gambe e anime, fra azioni e pensieri, fra gesti e sogni è completamente annullato: quando lo Stade de France canta “La Marsigliese”. All’”aux armes, citoyens, formes vos bataillons”, ti aspetti che lo stadio e i suoi ottantamila passeggeri decolli e prenda il volo.
Invece si rimane ben ancorati a terra. Il rugby è proprio un gioco di terra, di terreni e territori, dunque di contadini. La mischia è un aratro, spinta a braccia e a gambe. I trequarti sono avanti senza il giogo dell’aratro: liberi, leggeri, privilegiati. E certi palloni calciati in cielo, in verità disegnano soltanto campanili, quelli che con i loro rintocchi dettano i tempi dei lavori e i riti delle partite, e quelli che presidiano una terra, un paese, una squadra. Perché una volta il rugby era una guerra fra campanili, ma continua a esserlo anche adesso, perché i campanili esistono ancora. Anche se a furia di antenne paraboliche e fibre ottiche e digitali terrestri i campanili non sono più quelli fra Rovigo e Padova, né quelli fra Rho e Parabiago, ma fra All Blacks e Springboks, fra Pumas e Wallabies, e anche fra Francia e Italia.
Finisce come doveva finire, con la Francia che vince e l’Italia che perde ma non l’onore. Anzi. Ne guadagna. E non c’è più soltanto Parisse.
Nella zona mista i francesi – in smoking – sostano, gli italiani – in giacca e giubbotto – sfrecciano. Rimaniamo lì, noi giornalisti, per un attimo, a guardarci. Come se fosse suonata la campanella. Come bambini cui hanno detto: la ricreazione è finita, adesso tornate in classe. Sapendo però che fra una settimana, sabato prossimo, ci sarà Italia-Inghilterra. Altri 80 minuti di ricreazione.

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"....la piu' bella vittoria l'avremo ottenuta quando le mamme italiane spingeranno i loro figli a giocare al rugby se vorranno che crescano bene, abbiano dei valori, conoscano il rispetto, la disciplina e la capacita' di soffrire. Questo e' uno sport che allena alla vita."

John Kirwan ex allenatore nazionale italiana e giocatore degli All Blacks