La ricetta di Brunel: equilibrio, porte aperte a tutti e nessuna paura
Massimo Calandri intervista Jacques Brunel per la Repubblica. Uno stralcio:
«Voglio provare a vincere. Sempre. Non mi interessa non prenderle, me ne sbatto di ridurre gli scarti delle sconfitte. Tutti devono attaccare. L’ovale circolare, i due reparti – il pacchetto degli avanti e la cavallerialeggera- incrociarsi e ripartire in continuazione. I ragazzi prenderanno fiducia a giocare in zone in cui non erano troppo abituati
ad esprimersi».
Basta con il ‘catenaccio’ ovale degli ultimi anni. È tempo di osare. Con la Francia e il Perpignan ha funzionato. Ma il rugby italiano può permetterselo?
«Le franchigie fanno un buon lavoro, anche se c’è molto da fare. Bisogna federare il gioco, dobbiamo comunicare di più a tutti i livelli: parlare tra dì noi, ascoltare, imparare gli uni dagli altri. Perché qui c’è un potenziale enorme. Qualità. Passione.
Però ci vuole più disciplina, capacità di adattarsi al contesto e di cambiare mentalità rispetto al gioco, all’occupazione dello spazio, alla duttilità in campo. La parola magica è: equilibrio». (…)
«Gambe e coraggio, è quello che voglio. Il campo è grande, va occupato con entusiasmo. Loro ce l’hanno. Ai Mondiali porterò sette-otto ragazzi presi dalle Accademie, dall’Eccellenza. Anche dalla serie B, perché no? Le porte sono aperte a tutti. Basta avere l’entusiasmo. L’entusiasmo di Daniel Carter, il migliore che ho mai allenato: uno fisicamente normale, non tanto veloce. Ma con una classe enorme e una voglia di giocare ancora più grande. Semplice, disponibile. L’equilibrio perfetto».
«Voglio provare a vincere. Sempre. Non mi interessa non prenderle, me ne sbatto di ridurre gli scarti delle sconfitte. Tutti devono attaccare. L’ovale circolare, i due reparti – il pacchetto degli avanti e la cavallerialeggera- incrociarsi e ripartire in continuazione. I ragazzi prenderanno fiducia a giocare in zone in cui non erano troppo abituati
ad esprimersi».
Basta con il ‘catenaccio’ ovale degli ultimi anni. È tempo di osare. Con la Francia e il Perpignan ha funzionato. Ma il rugby italiano può permetterselo?
«Le franchigie fanno un buon lavoro, anche se c’è molto da fare. Bisogna federare il gioco, dobbiamo comunicare di più a tutti i livelli: parlare tra dì noi, ascoltare, imparare gli uni dagli altri. Perché qui c’è un potenziale enorme. Qualità. Passione.
Però ci vuole più disciplina, capacità di adattarsi al contesto e di cambiare mentalità rispetto al gioco, all’occupazione dello spazio, alla duttilità in campo. La parola magica è: equilibrio». (…)
«Gambe e coraggio, è quello che voglio. Il campo è grande, va occupato con entusiasmo. Loro ce l’hanno. Ai Mondiali porterò sette-otto ragazzi presi dalle Accademie, dall’Eccellenza. Anche dalla serie B, perché no? Le porte sono aperte a tutti. Basta avere l’entusiasmo. L’entusiasmo di Daniel Carter, il migliore che ho mai allenato: uno fisicamente normale, non tanto veloce. Ma con una classe enorme e una voglia di giocare ancora più grande. Semplice, disponibile. L’equilibrio perfetto».
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