bambini-corronoHo una figlia che gioca a softball da diversi anni, ormai ha superato la fase dell’infanzia in cui nella pratica sportiva l’obiettivo è “divertirsi giocando”, per passare con la preadolescenza a quella in cui il divertimento è associato all’apprendimento (“divertirsi apprendendo”).
Il trait d’union resta il divertimento. Credo che per uno sportivo questa componente non debba mai venire meno, tuttavia possiamo essere certi che è irrinunciabile da bambini. Ricordo distintamente che all’età di 4 anni, quando praticava il pattinaggio artistico, un giorno le fu detto che doveva impegnarsi se voleva fare le gare, altrimenti non le avrebbe fatte. “Ma io non voglio fare le gare, voglio divertirmi” rispose. E in effetti girava per la palestra eseguendo gli esercizi per il puro gusto di trovarne un godimento, in maniera leggiadra, come è giusto che faccia una bambina di quell’età.
Cambiò sport perché era chiaro che lì le attenzioni si sarebbero rivolte a quelle coetanee che si dimostravano dotate e con voglia di sacrificarsi per cominciare a fare le gare. A 4 anni.
Il mini rugby da qualche anno, dopo l’introduzione della categoria Under 6, accoglie bambini davvero piccoli, che frequentano la scuola materna, e per gli stessi in linea di massima si propone una stagione sportiva con impegni non tanto diversi da quelli dei compagni più grandi. Fino alla categoria Under 10 è fondamentale che prevalga la missione dell’accoglimento, della alfabetizzazione motoria e dell’avviamento al mini rugby.
Questi bambini si allenano 2 o 3 volte alla settimana, nel weekend spesso partecipano a concentramenti o tornei. Non pochi praticano anche altre attività. Il tempo settimanalmente assorbito non è secondario quindi.
Mi sono sempre chiesto, comunque, se queste attività siano tutte necessarie e funzionali alla crescita dei bambini
Si tratta di attività strutturate, ovvero con regole, comportamenti e tempi definiti dagli adulti, e che avvengono sotto il controllo e la direzione degli adulti.
Questo tipo di attività normalmente è strutturato dagli grandi per favorire lo sviluppo di skill necessari ad avere un certo tipo di “successo” in futuro. I genitori avviano precocemente i loro piccoli a queste attività per motivi diversi: sentono l’urgenza di essere genitori attenti alla cura dei figli; vedono negli stessi un prolungamento di sé, anche inconsciamente; desiderano dare loro subito le migliori opportunità di apprendimento; hanno bisogno di baby sitter... continuate voi l'elenco. Spesso rispondono a necessità, motivazioni degli adulti.

Libertà di giocare
Ma c’è un altro tipo di gioco che fa bene ai bambini, e che la nostra generazione ha fatto fortunatamente in tempo a sperimentare: il gioco libero.
Nel gioco libero i bambini sono da soli o in piccolissimi gruppi e da soli trovano cose da fare, le stabiliscono e scelgono da sé. I benefici? Creatività, possibilità di fare giochi di ruolo, di gestire la solitudine e la noia, di sviluppare il pensiero, la capacità di negoziazione senza l’intermediazione di “arbitri” (adulti), molte capacità motorie di base. E, credo, un sano senso di libertà.
La mancanza di gioco libero comporta dei rischi. Talvolta noi adulti non sappiamo comprendere le manifestazioni dei bambini, le inquadriamo come esuberanze, disturbi, e non le tolleriamo. Non le sappiamo gestire. Le cause possono essere molteplici (le aspettative eccessive sui risultati scolastici, l’eccessiva protezione, la scarsa attenzione ai bisogni, i metodi di insegnamento troppo rigidi che non considerano le diversità tra coetanei…) ma la mancanza di tempo dedicato al gioco indipendente, libero in cui i bambini possono manifestarsi istintivamente a livello mentale e fisico, è una di queste. I genitori mancano e sono quasi spaventati dalla libertà del gioco libero: “attento a non farti male e a non sporcarti”
Riempire questo vuoto con attività prestabilite – come può essere quella sportiva – comporta dei rischi: la mancanza di libertà genera infatti un senso di costrizione che cercherà sfoghi. Se poi anche nel gioco organizzato dello sport prevale la performance sul divertimento fine a se stesso, allora anche lo sport funge da tappo.
Leggo quanto rivela la neurofisiologia moderna: il bambino deve potersi distrarre per avere uno spazio libero in cui rigenerarsi, perché se l’attenzione è costante il cervello “va in stand by” e non elabora più ciò che sente. Dopo cinque ore di scuola, un impegno da non sottovalutare, possiamo chiedere loro di riprendere con attività che richiedono grande attenzione, come i compiti ad esempio o un corso che comunque richiede altra concentrazione? Non è più sano offrirgli spazio e tempo per giocare in modo che percepisca lo stacco tra il “dovere” mattutino e quello “pomeridiano”?
Il gioco libero risponde bene a questa necessità. Può farlo anche lo sport se proposto come divertimento e non eccessivamente ingabbiato da ritmi, regole e attese. Se pensato cioè esclusivamente per loro e non come strumento per raggiungere obiettivi nostri, tra i quali quello, anche meritorio, di insegnare loro il giusto modo di stare al mondo.
Altrimenti i bambini avranno più benefici se lasciati a giocare liberamente, come facevamo noi d'altronde (ce ne siamo scordati?), e ad apprendere un po’ più liberamente le regole del vivere comune. Anche le ginocchia sbucciate insegnano.

FONTE:http://www.minirugby.it/mini-rugby-grande-sport/4511-anche-le-ginocchia-sbucciate-insegnano